Poesie per Peppino Impastato
Salvo Vitale / Contadini di
Punta Raisi
Cade ancora la luna sulla terra del passato. Vivevamo i mattini di silenzio mentre il sole tardava. Buon odore di terra sulle mani. Buon sapore di brina sopra l’erba. Le parole dei vecchi crescevano fanciulli di salsedine dentro i secoli fermi di lavoro. Era il mito a gridare nell’estate mai finita, sulle strade di polvere e di ulivi, sulle vaste radure che, la notte, aprivano nel cuore felicità e paura. Il presente come allora si vive dentro Non c’è niente che possa cambiarci: gente forte, un po’ triste, forse troppo ignorante e troppo sola per tenerci soltanto ciò che è nostro. Il domani è già buio, dove passano uccelli di fame e fanciulli muti, dove muoiono i vecchi senza un cielo, mentre cadono uccelli d’acciaio sul giardino distrutto. 1969 Umberto Santino / Sarai meno solo Avremmo potuto pensare il silenzio ritorna e noi stretti intorno ai frammenti del tuo corpo schiacciati da troppe morti prima che dagli altri vinti da noi stessi (dov’erano i compagni più amati di cui più ti fidavi? Come nei presepi dell’infanzia le rocce si sono rivelate sugheri dipinti leggere come il fumo e più delle parole rubate da chi ti vuole suicida la tua morte ci giudica la tua solitudine ci misura) gridare per l’ultima volta per sentirci meno soli per darci coraggio. Ma c’erano i vecchi che stringevano la mano dopo il comizio, c’erano le mani che chiedevano il volantino, c’erano le porte aperte dopo la prima paura (Mafiopoli prendeva respiro) c’era il tuo nome segnato sulla scheda per rispondere a chi l’aveva cancellato sui manifesti: piccole crepe, certo, in un muro che restava muro. E c’era l’ira dei cortei anche se i gesti erano troppo piccoli (un sasso scagliato contro la bottega del potere) e le parole troppo grandi (come possiamo dire nulla resterà impunito se non possiamo neppure impedire che il tuo volto distrutto venga infangato sui giornali?). La tua vendetta sarà allargare la breccia spalancare le porte. Così sarai meno solo dietro il muro dei morti. 1978 Umberto Santino / La matri di Pippinu Chistu unn’è me figghiu. Chisti un su li so manu chista unn’è la so facci. Sti quattro pizzudda di carni un li fici iu. Me fighhiu era la vuci chi gridava ’nta chiazza eru lu rasolu ammulatu di lo so paroli era la rabbia era l’amuri chi vulia nasciri chi vulia crisciri. Chistu era me figghiu quannu era vivu, quannu luttava cu tutti: mafiusi, fascisti, omini di panza ca un vannu mancu un suordu patri senza figghi lupi senza pietà. Parru cu iddu vivu un sacciu parrari cu li morti. L’aspettu iornu e notti, ora si grapi la porta trasi, m’abbrazza, lu chiamu, è nna so stanza chi studìa, ora nesci, ora torna, la facci niura come la notti, ma si ridi è lu suli chi spunta pi la prima vota, lu suli picciriddu. Chistu unn’è me figghiu. Stu tabbutu chinu di pizzudda di carni unn’è di Pippinu. Cca dintra ci sunnu tutti li figghi chi un puottiru nasciri di n’autra Sicilia 1979 La madre di Peppino Questo non è mio figlio. Queste non sono le sue mani questo non è il suo volto. Questi brandelli di carne non li ho fatti io. Mio figlio era la voce che gridava nella piazza era il rasoio affilato delle sue parole era la rabbia era l’amore che voleva nascere che voleva crescere. Questo era mio figlio quand’era vivo, quando lottava contro tutti: mafiosi, fascisti, uomini di panza che non valgono neppure un soldo padri senza figli lupi senza pietà. Parlo con lui vivo non so parlare con i morti. L’aspetto giorno e notte, ora si apre la porta entra, mi abbraccia, lo chiamo, è nella sua stanza a studiare, ora esce, ora torna, il viso buio come la notte, ma se ride è il sole che spunta per la prima volta, il sole bambino. Questo non è mio figlio. Questa bara piena di brandelli di carne non è di Peppino. Qui dentro ci sono tutti i figli non nati di un’altra Sicilia. Salvo Vitale / Compagno Ti riscopro tra la neve dei mandorli, petalo anche tu, staccato dal vento tra i frammenti di luna sul mare caldo, anche tu scaglia di luce inafferrabile, nella sera d’agosto, sulla spiaggia, con il corpo abbronzato, poi distrutto, nel mattino di aprile sul divano a tentare una via di comunicazione tra le nostre schermate solitudini. Ti risento amplificato, senza enfasi, pronunciare la tua elegia di morte, in mezzo alla nostra fame di bisogni aprire rivoli di speranza e di scontro, e ancora, nella tela dell’angoscia, piangere e rialzarti con la consueta energia. Da molto ci sei stato. Non avevo che te, compagno, finito nella notte, portando sul fondo della gola la paura di darmi un bacio. 1980 Umberto Santino / Lettera ai compagni di Peppino, per ricordare e, se è possibile, per continuare Io non so se è ancora possibile parlare senza mentire guardarsi negli occhi senza abbassare le palpebre ripensare i giorni dei vivi (quando Peppino era ancora tra noi e la sua vita era nuda febbrile e le sue lacerazioni chiedevano tenerezze negate abortite carezze) e le notti dei morti (quando il suo corpo fu steso sul binario le gocce del suo sangue esplosero nel lampo del tritolo e il suo nome fu cancellato sui manifesti il suo volto offeso da nemici più feroci degli assassini) Io non so se è ancora possibile ricordarlo e ricordarci sono trascorsi pochi anni ma è passato un tempo più lungo di mille eternità e oggi abbiamo mani più vuote della bara che portava le sue briciole oggi siamo nudi più dei suoi nervi che bucavano la pelle siamo disperati più di quando meditava il suicidio e lanciava al mondo la sfida dei suoi fallimenti Il millennio muore in una infinita Chernobyl del desiderio e della speranza Non vogliamo più piangere non abbiamo più certezze e cerchiamo di arredare i nostri giorni con mani più umili di quelle che allevavano sogni e furori nelle viscere del ’68 ma una sola cosa vorrei che ci dicessimo (se è ancora possibile parlare senza mentire guardarci negli occhi senza abbassare le palpebre) che non possiamo consegnarci alla viltà e alla menzogna Peppino ci unisce se sappiamo ancora vivere la sua vita in una stagione diversa con nuove immagini e nuove parole ma con la stessa volontà di negarsi alla crudeltà degli assassini alle astuzie dei mercanti che offrono scampoli di potere per elevare al cielo le loro piramidi di voti alle chiacchiere di chi copre la sua svendita al migliore offerente con patacche senza valore Peppino ci divide se non abbiamo più voglia di scontrarci quando è necessario scontrarsi di rompere con il padre quando tutti diventano figli della desolazione ed eredi della viltà Il millennio muore in un’infinita Chernobyl del desiderio e della speranza ma non ci saranno nuovi giorni se non sapremo parlare senza mentire guardarci negli occhi senza abbassare le palpebre se non avremo dentro tanta rabbia e tanta tenerezza da squarciare le nuvole se non saremo capaci di dare amore a un compagno come lui separato da tutti se non sapremo incontrarlo anche in fondo al pozzo delle solitudini e camminare insieme a testa alta tra le case con le finestre sbarrate sfidando il silenzio dei vili e la vittoria degli assassini 1990 |
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