domenica 1 gennaio 2012

poesie per peppino impastato


Poesie per Peppino Impastato

Salvo Vitale / Contadini di Punta Raisi

Cade ancora la luna sulla terra del passato.
Vivevamo i mattini di silenzio
mentre il sole tardava.
Buon odore di terra sulle mani.
Buon sapore di brina sopra l’erba.
Le parole dei vecchi
crescevano fanciulli di salsedine
dentro i secoli fermi di lavoro.
Era il mito a gridare
nell’estate mai finita,
sulle strade di polvere e di ulivi,
sulle vaste radure che, la notte,
aprivano nel cuore felicità e paura.
Il presente come allora si vive
dentro un mondo di lotta e di illusioni.
Non c’è niente che possa cambiarci:
gente forte, un po’ triste,
forse troppo ignorante e troppo sola
per tenerci soltanto ciò che è nostro.
Il domani è già buio,
dove passano uccelli di fame
e fanciulli muti,
dove muoiono i vecchi senza un cielo,
mentre cadono uccelli d’acciaio
sul giardino distrutto.

1969


Umberto Santino / Sarai meno solo

Avremmo potuto pensare
il silenzio ritorna
e noi stretti intorno ai frammenti
del tuo corpo
schiacciati da troppe morti
prima che dagli altri
vinti da noi stessi
(dov’erano i compagni più amati
di cui più ti fidavi?
Come nei presepi dell’infanzia
le rocce si sono rivelate
sugheri dipinti
leggere come il fumo
e più delle parole rubate
da chi ti vuole suicida
la tua morte ci giudica
la tua solitudine ci misura)
gridare per l’ultima volta
per sentirci meno soli
per darci coraggio.
Ma c’erano i vecchi
che stringevano la mano
dopo il comizio,
c’erano le mani che chiedevano
il volantino,
c’erano le porte aperte
dopo la prima paura
(Mafiopoli prendeva respiro)
c’era il tuo nome
segnato sulla scheda
per rispondere
a chi l’aveva cancellato
sui manifesti:
piccole crepe, certo,
in un muro che restava muro.
E c’era l’ira dei cortei
anche se i gesti erano
troppo piccoli
(un sasso scagliato
contro la bottega del potere)
e le parole troppo grandi
(come possiamo dire
nulla resterà impunito
se non possiamo neppure impedire
che il tuo volto distrutto
venga infangato sui giornali?).
La tua vendetta
sarà allargare la breccia
spalancare le porte.
Così sarai meno solo
dietro il muro dei morti.

1978


Umberto Santino / La matri di Pippinu

Chistu unn’è me figghiu.
Chisti un su li so manu
chista unn’è la so facci.
Sti quattro pizzudda di carni
un li fici iu.

Me fighhiu era la vuci
chi gridava ’nta chiazza
eru lu rasolu ammulatu
di lo so paroli
era la rabbia
era l’amuri
chi vulia nasciri
chi vulia crisciri.

Chistu era me figghiu
quannu era vivu,
quannu luttava cu tutti:
mafiusi, fascisti,
omini di panza
ca un vannu mancu un suordu
patri senza figghi
lupi senza pietà.

Parru cu iddu vivu
un sacciu parrari
cu li morti.
L’aspettu iornu e notti,
ora si grapi la porta
trasi, m’abbrazza,
lu chiamu, è nna so stanza
chi studìa, ora nesci,
ora torna, la facci
niura come la notti,
ma si ridi è lu suli
chi spunta pi la prima vota,
lu suli picciriddu.

Chistu unn’è me figghiu.
Stu tabbutu chinu
di pizzudda di carni
unn’è di Pippinu.

Cca dintra ci sunnu
tutti li figghi
chi un puottiru nasciri
di n’autra Sicilia

1979


La madre di Peppino

Questo non è mio figlio.
Queste non sono le sue mani
questo non è il suo volto.
Questi brandelli di carne
non li ho fatti io.

Mio figlio era la voce
che gridava nella piazza
era il rasoio affilato
delle sue parole
era la rabbia
era l’amore
che voleva nascere
che voleva crescere.

Questo era mio figlio
quand’era vivo,
quando lottava contro tutti:
mafiosi, fascisti,
uomini di panza
che non valgono neppure un soldo
padri senza figli
lupi senza pietà.

Parlo con lui vivo
non so parlare
con i morti.
L’aspetto giorno e notte,
ora si apre la porta
entra, mi abbraccia,
lo chiamo, è nella sua stanza
a studiare, ora esce,
ora torna, il viso
buio come la notte,
ma se ride è il sole
che spunta per la prima volta,
il sole bambino.

Questo non è mio figlio.
Questa bara piena
di brandelli di carne
non è di Peppino.

Qui dentro ci sono
tutti i figli
non nati
di un’altra Sicilia.


Salvo Vitale / Compagno

Ti riscopro tra la neve dei mandorli,
petalo anche tu, staccato dal vento
tra i frammenti di luna sul mare caldo,
anche tu scaglia di luce inafferrabile,
nella sera d’agosto, sulla spiaggia,
con il corpo abbronzato, poi distrutto,
nel mattino di aprile sul divano
a tentare una via di comunicazione
tra le nostre schermate solitudini.
Ti risento amplificato, senza enfasi,
pronunciare la tua elegia di morte,
in mezzo alla nostra fame di bisogni
aprire rivoli di speranza e di scontro,
e ancora, nella tela dell’angoscia,
piangere e rialzarti con la consueta energia.
Da molto ci sei stato. Non avevo che te,
compagno, finito nella notte,
portando sul fondo della gola
la paura di darmi un bacio.

1980


Umberto Santino / Lettera ai compagni di Peppino, per ricordare
e, se è possibile, per continuare


Io non so
se è ancora possibile
parlare senza mentire
guardarsi negli occhi
senza abbassare le palpebre
ripensare i giorni dei vivi
(quando Peppino
era ancora tra noi
e la sua vita era nuda
febbrile
e le sue lacerazioni
chiedevano tenerezze negate
abortite carezze)
e le notti dei morti
(quando il suo corpo
fu steso sul binario
le gocce del suo sangue
esplosero nel lampo del tritolo
e il suo nome
fu cancellato sui manifesti
il suo volto offeso
da nemici più feroci degli assassini)

Io non so se è ancora possibile
ricordarlo
e ricordarci

sono trascorsi pochi anni
ma è passato un tempo più lungo
di mille eternità
e oggi abbiamo
mani più vuote
della bara che portava
le sue briciole
oggi siamo nudi
più dei suoi nervi
che bucavano la pelle
siamo disperati
più di quando meditava il suicidio
e lanciava al mondo
la sfida dei suoi fallimenti

Il millennio muore
in una infinita Chernobyl
del desiderio e della speranza

Non vogliamo più piangere
non abbiamo più certezze
e cerchiamo di arredare
i nostri giorni
con mani più umili
di quelle che allevavano
sogni e furori
nelle viscere del ’68
ma una sola cosa
vorrei che ci dicessimo

(se è ancora possibile
parlare senza mentire
guardarci negli occhi
senza abbassare le palpebre)

che non possiamo consegnarci
alla viltà e alla menzogna

Peppino ci unisce

se sappiamo ancora
vivere la sua vita
in una stagione diversa
con nuove immagini
e nuove parole
ma con la stessa volontà
di negarsi alla crudeltà degli assassini
alle astuzie dei mercanti
che offrono scampoli di potere
per elevare al cielo
le loro piramidi di voti
alle chiacchiere di chi copre
la sua svendita
al migliore offerente
con patacche senza valore

Peppino ci divide

se non abbiamo più voglia
di scontrarci
quando è necessario
scontrarsi
di rompere con il padre
quando tutti diventano
figli della desolazione
ed eredi della viltà

Il millennio muore
in un’infinita Chernobyl
del desiderio e della speranza

ma non ci saranno nuovi giorni
se non sapremo
parlare senza mentire
guardarci negli occhi
senza abbassare le palpebre
se non avremo dentro
tanta rabbia e tanta tenerezza
da squarciare le nuvole
se non saremo capaci
di dare amore
a un compagno come lui
separato da tutti
se non sapremo incontrarlo
anche in fondo
al pozzo delle solitudini
e camminare insieme
a testa alta
tra le case
con le finestre sbarrate
sfidando
il silenzio dei vili
e la vittoria degli assassini

1990

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