sabato 28 gennaio 2012

Nuvole all'orizzonte

Non tutti i giorni sono uguali... ci sono quelli in cui sembra che il mondo mi appartenga e che io appartenga a lui, ce ne sono altri, invece, in cui mi sento sola, isolata e lontana da tutto e da tutti, soprattutto da me... che sia colpa degli ormoni e della menopausa incombente... chi lo sa!!!
Quello che so è che dopo ogni tempesta il sole tornerà inevitabilmente a risplendere... bisogna solo attendere e, nel frattempo, provare comunque a trovare un po' di sole dentro di sé...
hasta la vista, companeros...

lunedì 23 gennaio 2012

Quando torna Lulù

Eh, quando non si dorme torna Lulù, la mia alter ego, resistente e sognatrice, caotica artista della Vita...
Quando ricompare all'orizzonte mi torna il sorriso sulle labbra e quella leggerezza che troppo spesso si allontana da me...
Quando ricompare all'orizzonte tutto appare possibile e sincero, tutto sembra possa svolgere al meglio le sue funzioni, il proprio ruolo, tutto sembra in armonia con l'intero Creato.
Sentire che è tornata Lulù è come vivere uno stato di grazia, di ottimismo e di allegria, concreta e reale, senza pura follia...
Schizzofrenia dilagante? Uno, nessuno, centomila, scriveva Pirandello... E io non posso attestarmi sul due????
Buonanotte sognatori e che le stelle vi siano di supporto alla navigazione... 
Vs. Lulù

Parole di Pace – Settimana dal 23 gennaio 2012


Buona settimana a tutti.

Il primo mese del 2012 è quasi finito e come spesso accade, alcune delle cose che sono accadute nei giorni passati hanno catalizzato la mia attenzione.

La tragedia della nave Concordia della Costa, per esempio, ha attirato la mia attenzione, anche se, solitamente non mi lascio coinvolgere dai fatti di cronaca. Trovo però che la vicenda della concordia sia veramente emblematica della condizione che stiamo vivendo nel nostro paese…
L’irresponsabilità, la codardia, l’inadeguatezza di chi ci conduce può portare alla rovina una nave così come un intero paese…
Il naufragio della Concordia sembra metafora perfetta della vita…
Sarà perché, napoletana, sono donna di mare e dalle mare ho imparato molte delle sue regole, ma certe cose proprio non si possono capire…

Quello che mi interessa di affrontare con voi sono alcuni argomenti: responsabilità, senso del dovere, prudenza, eroismo…
Troppo facile definire eroi coloro che fanno il proprio dovere, questo rischia di allontanare da noi la responsabilità del nostro compito… Gli eroi sono eccezionali, fuori dal comune e per questo difficilmente emulabili… Invece, riconoscere il senso del dovere, della responsabilità del proprio compito, del proprio ruolo, questo si che attiene alle possibilità e alle competenze di ognuno di noi…
Ed è su questo che vorrei riflettere con Voi.
Anche in relazione all’altro evento, storico, in questo caso, di cui vorrei parlare con Voi.

Il 27 gennaio del 1945 le truppe sovietiche entravano nel campo di concentramento e di sterminio di Auschwitz, in Polonia, scoprendo gli orrori atroci commessi dai nazifascisti.
Le persecuzioni naziste cominciarono nel 1933. Da quella data  al 1945 nei campi di sterminio trovarono la morte diversi milioni di persone, tra cui Ebrei, Rom e Sinti, dissidenti politici, invalidi, omosessuali e preti… Un periodo di follia, di vergogna per l’umanità intera e, soprattutto, perché molti restarono a guardare o, peggio ancora, fecero finta di non vedere…
Non so perché, ma questi due eventi mi sembrano si possano incontrare nei nostri approfondimenti.

Soprattutto vorrei concentrare la nostra attenzione sulle nuove deportazioni su quelle che, nonostante la memoria degli orrori passati, continuano ad accadere sotto i nostri occhi e nell’indifferenza di tanti…

Parleremo anche delle donne dei Comitati “Se non ora quando” che si incontreranno a Roma il 28 per costruire la Rete di reti…

Naturalmente non dimentichiamo i nostri Testimoni di Pace Aldo Capitini e Danilo Dolci di cui torneremo a parlare giovedì, attraverso la loro storia e i loro scritti.


Vi aspettiamo, lunedì e mercoledì, dalle 17.30 alle 19.00 e giovedì dalle 18.00 alle 19.00.
Buona Settimana e Buona Vita a tutti
Concetta

La giornata della Memoria: Ricorrenza e monito


Il 27 gennaio del 1945 gli Europei e il mondo intero scopriva gli orrori dello sterminio di milioni di persone innocenti ad opera dei nazifascisti agli ordini di Hitler e dei suoi criminali seguaci. Un episodio della storia del vecchio continente del quale provare vergogna ed orrore.

Le truppe sovietiche dell’Armata Rossa aprivano per la prima volta i cancelli di quello che apparve immediatamente un inferno in terra…
Sono ancora impresse nella mia memoria le immagini dei filmati di documentazione girati dalle truppe: montagne di cadaveri di uomini, donne, vecchi e bambini scheletriti, ridotti pelle e ossa da quelle condizioni di vita o, meglio, di non vita che si sarebbero poi successivamente conosciute.

Che non accada mai più…

Questo è quello che per anni siamo andati ripetendo, convinti che l’evoluzione della nostra civiltà non avrebbe mai più permesso tali delitti…

Che delusione… Che delusione constatare che a distanza di tutti questi anni le cose non sono poi andate proprio come ci saremmo aspettati.

L’indifferenza, l’intolleranza, il razzismo, la xenofobia si sono sempre più impossessati di noi e gli stermini di massa hanno ricominciato a comparire negli scenari dell’informazione, se mai effettivamente fossero scomparsi dalla scena dell’Umanità…
Il Rwanda, l’Angola, la Sierra Leone, il Messico, la Colombia, la Libia, la Siria, l’Egitto, la Tunisia…
L’Iraq, l’Afganistan, ilVietnam, la Birmania, l’Etiopia, la Nigeria, il Sudan…
Il genocidio dei Curdi, degli Armeni, la persecuzione di Rom e Sinti che non è mai cessata, i barconi naufragati nel Mediterraneo insieme alla nostra compassione, alla nostra umanità…
La Pietà, l’indifferenza, la Solidarietà e la discriminazione, doppie facce di una stessa medaglia che si chiama globalizzazione…

I morti dei campi di sterminio sono sulla coscienza di un manipolo di governanti e aguzzini che all’epoca detenevano il potere, ma i tanti, troppi morti per le guerre, le carestie, la fame, la povertà e i naufragi sono sulla coscienza di ognuno di noi…

Prendo in prestito le parole di un grande commediografo mio conterraneo, Eduardo de Filippo, che al suo Peppino Girella fa dire: “A furia di dire che ogni cosa è “cos’e niente” (cosa senza importanza) simme diventate pure nui, cos’e niente…”
Se ci fosse bisogno di tradurre potrei dire che non considerare gli affanni dell’umanità rende, in qualche modo, disumani anche noi.

La Giornata della Memoria e tutte le altre celebrazioni avranno veramente un senso quando non ci sarà nessun essere vivente in sofferenza, neanche la Terra…

Allora vorrà dire che avremo appreso, fatto nostra e messa a frutto la lezione della Storia e della Memoria…

Restiamo Umani, Gente!!!!!

domenica 15 gennaio 2012

Parole di Pace – settimana dal 16 gennaio 2012


Si è appena chiusa un’altra settimana ricca di fatti, di notizie e di eventi che hanno suscitato la mia attenzione.
La giornata mondiale dedicata ai migranti, il 15 gennaio, l’anniversario della fondazione del Movimento Nonviolento, che il 10 gennaio ha compiuto 50 anni, l’anniversario dei fatti di Rosarno e dell’avvio della Primavera Araba in Tunisia.
Alcuni di questi argomenti erano già in programma per la scorsa settimana, ma sono rimasti sospesi a causa di un attacco influenzare che mi ha lasciata senza voce e, quindi, impossibilitata ad andare in onda giovedì…
Dalla Tavola della Pace ci sono arrivati gli appuntamenti che coinvolgeranno il movimento pacifista che in essa  confluisce, appuntamenti in giro per tutta l’Italia e che proveremo a seguire e a condividere.
Grandi novità anche in casa nostra, dove una nuova veste grafica del sito è stata messa a punto e in corso di perfezionamento.
Potete seguirci su Facebook con la pagina Radioafrica.eu e a breve anche su twitter. Sperimenteremo insieme le potentissime applicazioni multimediali che il team tecnico di Radioafrica sta mettendo a punto… Un grazie a Lorenzo, a Daniele, a Roberto, grande supporto tecnico organizzativo, nonché ai Sospiro’s Brothers e a tutti, ma proprio tutti gli speakers di Radioafrica. Passeremo insieme un nuovo anno di informazioni, di approfondimenti,  di lotta culturale e civile per provare insieme a realizzare “quel cambiamento che vogliamo vedere nel mondo”… Gandhi docet.
La fortuna di Parole di Pace è quella di guardare a grandi maestri, a grandi personaggi che, in tutto il mondo, hanno lavorato e lavorano per migliorare le condizioni di vita e sociali nei rispettivi paesi e non solo.
Gandhi, Martin Luther King, Aldo Capitini, Danilo Dolci, Don Luigi Ciotti, Don Gallo, sono solo alcuni dei grandi maestri che ci accompagneranno in quest’anno di Pace durante il quale, spero, vogliate stare con noi.
Informazione, solidarietà, legalità, nuovi stili di vita, diritti umani, impegno sociale e civile sono i temi che ci stanno a cuore per lottare e resistere alla deriva che sembra aver intrapreso l’Umanità…
Certi che insieme si possa fare qualunque rivoluzione necessaria… Pacifica e Nonviolenta, naturalmente.
Vi aspettiamo il lunedì e il mercoledì dalle 17.30 alle 19.00 e il giovedì dalle 18.00 alle 19.00.
Buona settimana e Buona vita a tutti
Concetta

venerdì 13 gennaio 2012

Allargare gli orizzonti

<p>Da qualche anno abbiamo deciso di andare a vivere in campagna. Sono nata e vissuta in citta'; per oltre 30 anni e mai avrei immaginato, fino a qualche tempo fa', che la mia gioia di vivere sarebbe esplosa andando a vivere in campagna...
E invece, con non poco stupore mi ritrovo ad ammirare il cielo colorato del mattino, tra le colline marchigiane e questo mi da' una sensazione di benessere incredibile... mi fa' stare bene avere avanti ai miei occhi spazi infiniti, che fanno ricordare la poesia e l'arte e la bellezza intensa del paesaggio.
E' una metafora perfetta: allargare lo sguardo, rivolgerlo all'infinito permette di allargare il nostro orizzonte interiore e si ritorna a fare respiri profondi... buona notte, sognatori resistenti

mercoledì 11 gennaio 2012

Non si dorme? E allora, Caos creativo...

Mi  sono svegliata presto, troppo presto, stamattina,o forse dovrei dire meglio, stanotte...
Sono sveglia più o meno dalle tre, complice il raffreddore, la sete e una pizza mangiata troppo tardi, forse...
Allora, tra la veglia e il sonno, tra i pensieri notturni e la voglia di dormire, si affollano riflessioni, si fanno largo, dolori, sofferenze, idee, sorrisi e lacrime....
Mi sembra che sia stato Nietche (sempre ammesso che si scriva così) a dire che "bisogna avere in mente un caos per generare una stella", o qualcosa del genere.
Ed è proprio al caos che pensavo, a quella sorta di magma creativo,  energetico, potente che a volte mi sembra di avere nella mia testolina....  
Ho incontrato un mostro 40 anni fa' ed è ancora lì che riappare, ricompare quando mi sento stanca e debole e confusa.... Ma poi da qualche tempo, insieme a lui, emerge dalla mia memoria l'antagonista di quel mostro, quello per cui a suo tempo l'avevo scambiato, quello che mi ha insegnato a vivere con allegria, con ironia, con serietà e leggerezza, allo stesso tempo... quello che prendeva in giro tutto e tutti, intelligente,  sensibile, dissacratore...
Sei morto troppo presto, nonno, accidenti e mi hai lasciata sola a combattere con una vita noiosa e triste... e circondata da mostri cattivi, dentro e fuori di me...
Da qualche tempo però ti ho ritrovato, da qualche parte nel mio cuore, nella mia memoria, grazie a Linda e alla sua abilità, e da allora so che mi tornerai incontro ogni volta che avrò bisogno di ritrovare in me quel meraviglioso caos creativo che hai appena potuto accennare ad insegnarmi a riconoscere...
Forse ci sei proprio tu dietro tanti incontri, proprio tu, che non hai fatto in tempo ad insegnarmi a vivere con il tuo stile, a proteggermi dalla noia di chi si prende troppo sul serio e non sorride mai...
Si, penso proprio che sia tu, il mio Nume tutelare, quello Spirito Guida che incarna la mia essenza...
Il generatore del mio caoticissimo e meraviglioso Mondo creativo...
Aveva proprio ragione Nietche, ci vuole proprio un caos per generare una stella...
E, se tanto mi da tanto, io posso generare un'intera galassia... forse un vero Universo Parallelo...
Hasta la vittoria siempre,  Resistenti e Caotici Sognatori...
Have a nice day... 

domenica 8 gennaio 2012

Parole di Pace - Programma della settimana dal 9 gennaio 2012


Buona settimana e Buon Anno.

Sono passate alcune settimane dall’ultima puntata e mi siete mancati molto…

Sono successe così tante cose che non so dache parte cominciare. E’ la prima puntata dell’anno e vorrei che fosse una puntata beneaugurante e positiva, senza però dimenticare ciò che vogliamo continui ad essere il nostro impegno.
Ai miei contatti mail ho inviato un giochino che vorrei condividere con voi.
Si chiama l’Alfabeto di Parole di Pace e mi sembra un modo carino per riflettere su quello che vuol dire Pace, su quello che questa parole contiene in sé, che riassume e raggruppa.
Lo trovate pubblicato sulla pagina di Facebook di Radioafrica o nelle note della mia pagina personale, ne parleremo nella puntata di lunedì per cominciare con ironia questo nuovo anno di Parole di Pace.
Parleremo questa settimana della Primavera Araba e del primo anniversario della  rivolta tunisina, della rivolta degli immigrati di Rosarno e di quello che sta succedendo nel nostro Paese.
L’uccisione di un giovane cinese e della sua bambina di pochi mesi sono un fatto sconvolgente, che sottolinea l’escalation di violenza che sta vivendo in particolare la nostra Capitale.
Parleremo di Nonviolenza, quindi, per cercare di compensare lo sconforto di questi fatti con la fattività di una formazione e di un impegno nella divulgazione degli Insegnamenti dei grandi Maestri di questa disciplina, partendo da Aldo Capitini e Danilo Dolci, che a me sembrano due veri luminari di questa scienza…
Il 1° gennaio del 1948 entrò in vigore la Costituzione Italiana ed è con la sua conoscenza che potremo diventare cittadini veri e partecipi del processo democratico di cui abbiamo un gran bisogno.

Di questo e di altro parleremo questa settimana a Parole di Pace.

Vi aspetto su Radio Africa (www.radioafrica.eu) il lunedì e il mercoledì dalle 17.30 alle 19.00 e il giovedì dalle 18.00 alle 19.00.
Concetta

venerdì 6 gennaio 2012

i siciliani giovani

Buon compleanno, Peppino e Pippo!!!!

Carissimi, 
ieri avreste compiuto gli anni se quei vigliacchi che vi hanno uccisi avessero lasciato continuare la vostra vita....
Volevo scrivere di voi a tutti i costi ieri,ma no ce l'ho fatta, le mie giornate sono sempre troppo corte rispetto a quello che vorrei fare e vivere in campagna ha i suoi inconvenienti: distanze maggiori, tempi di spostamenti più lunghi e difficoltà di collegamenti informatici... Tutto abbondantemente compensato dalla meraviglia di vivere in un posto fantastico!!! 
Sapete, ieri mattina una coppia di aironi girava sopra casa nostra per atterrare in uno degli stagni dove, credo, abbiano trovato un punto di sosta... Che meraviglia e che emozione...
Non ci siamo conosciuti, o meglio, voi non avete conosciuto me, perchè io, invece, vi ho conosciuti, eccome, anche se ancora troppo poco, ma sto recuperando...
Conosco di più Peppino,me lo ha raccontato e trasmesso suo fratello Giovanni, che ho incontrato e conosciuto un paio di anni fa, me lo hanno raccontato i suoi scritti, attualissimi moderni, raccolti in un libricino che riporta alcuni testi di trasmissioni di radio aut.
Sei il mio punto di riferimento, lo sai, ironico, sfrontato, provocatore e coraggioso, proprio come vorrei essere io nella mia vita e nel mio lavoro alla radio.... 
Abbiamo alcune cose in comune, la voglia di lottare contro le deviazioni del potere, dei poteri in tutte le loro forme,  la voglia di comunicare e condividere con gli altri questa passione...
Pippo, sono indietro con la tua conoscenza, ma ti prometto che recupererò....
Desidero che voi siate fieri di me, fieri di tutti noi, perchè le vostre morti non sono avvenute invano... Il sacrificio di avervi perduti è linfa vitale per non disperdere i vostri valori, le vostre idee,le vostre energie che sono divenute terreno fertile su cui costruire le nostre vite...
Ci risentiamo presto
Vs. Concetta
  

mercoledì 4 gennaio 2012

I miei Grandi Maestri: Danilo Dolci "Cos'è Pace"

Danilo Dolci:
Avere grandi Maestri ci aiuta a crescere migliori... non necessita che io aggiunga altre parole! Quelle che seguono sono fantastiche: dicono tutto!!! 

Cos’è Pace
Prendo un vocabolario. Alla parola “pace” trovo: “stato d’animo di serenità, di perfetta tranquillità non turbata da passioni o ansie; sinonimo di quiete; assenza di fastidio, di preoccupazioni materiali; di dolore fisico; tregua; condizione di uno Stato che non si trova in guerra con altri. Riposare in pace = essere morto”.
Proprio questa è la pace necessaria al mondo, a ciascuno? E se questa non è, cosa significa oggi, cosa deve significare per ognuno? Pur sapendo come la risposta a questo interrogativo rischia di risultare generica e velleitaria finché non si concreta situazione per situazione, non è indispensabile per ciascuno cercare di avviarla? Non è meglio tentare indicazioni positive, anche se barluminari, che rassegnarsi a pensare la pace in termini negativi, come mancanza di guerra?

Voler sapere, voler capire.
Meno si comprende, meno si è in grado di risolvere i problemi e le difficoltà che incontriamo. Per lo più la nostra inabilità a comprendere ci porta a vedere solo quanto ci tocca più da vicino o, quando ricerchiamo, a distinguere  solo alcuni particolari. Non profondamente coscienti della necessità di conoscere, non sperimentati, non allenati, ci si stanca    presto,   ci   si  disperde,   non  si   sa   scomporre analiticamente e poi riconnettere le complesse simultaneità di ogni organismo vivo.
È necessario per ciascuno acuire la propria attenzione alla scoperta, apprendere a rilevare sistematicamente, attraverso analisi e autoanalisi, i dati essenziali delle situazioni e dei problemi in cui si esiste; apprendere come si possa riuscire a vincere ignoranze, complessi, superstizioni di ogni tipo: sapendo come le superstizioni, surrogati della verità, man mano che si diffondono vengono come ufficializzate e nobilitate dalle stesse loro dimensioni.
  Quanto più si hanno esatti i dati del problema da risolvere e completo il quadro delle difficoltà, tanto meglio è possibile avvicinarsi alla soluzione; quanto meno sono sufficienti e precisi i dati di cui si dispone, tanto più si tentano avventate soluzioni producendo disfunzioni, fallimenti.

Avere il coraggio di chiarire il fronte delle difficoltà da vincere.
In Italia, dove tanto sono stati decantati il diritto, il cristianesimo e la democrazia, era riuscito ad essere lungamente Ministro uno sfruttatore della mafia sistematicamente sfruttato dalla stessa; ed è riuscito ad essere nominato Sottosegretario nel governo nazionale, cioè Viceministro, un individuo notoriamente capomafia della sua zona.
I governi dei ventidue paesi del continente sudamericano sono tanto democratici che in ciascuno la polizia pratica sistematicamente la tortura; due sono eletti per gran parte secondo il sistema clientelare – mafioso; gli altri venti praticamente non si curano nemmeno di salvare le apparenze. Pensiamo proprio, se vogliamo essere franchi, che tutto questo, oltre alla guerra nel Vietnam, sia oggi sostenuto dal Governo degli Stati Uniti per amore degli ideali democratici?
Possiamo continuare oggi a pensare democratico, campione della democrazia, un mondo di ghetti e discriminazioni? un mondo – certo, non tutti, non gli attivi dissenzienti a cui va tutta la nostra ammirazione – che cerca di soffocare la volontà di vita in nazioni intere, interi continenti? un mondo – certo, per tanto altro l’amiamo – che non garantisce di fatto a ciascuno la possibilità di lavorare, di sapere, di esprimersi?
  Non è vero che tutti vogliamo la pace. Bisogna avere il chiaro coraggio di individuare chi organizza e chi alimenta la preparazione delle guerre per sopraffare coloro che vuole sfruttare; di scoprire dove passa il fronte fra il parassitismo di ogni genere e chi è impedito nel suo sviluppo da emorragie di ogni genere, tra la violenza di chi difende il proprio parassitismo e la coraggiosa energia di chi difende la vita; veder chiaro quando e dove questo fronte passa attraverso noi stessi.
E non possiamo confondere l’impegno per realizzare la pace con la preoccupazione di mantenersi equidistanti da tutti.


Essere rivoluzionari.
Ogni comportamento – individuale, di gruppo, di massa – che tende sostanzialmente a mantener la situazione come è, o ad ammettere il cambiamento se lentissimo, di fatto non è impegno di pace.
I prepotenti, quando non possono sopraffare gli altri prepotenti per sostituirsi a questi, cercano di accordarsi tra loro: naturalmente in danno ai deboli. Non è questa la pace, anche quando non spara la lupara o il cannone.
Anche le vaste zone dell’opinione pubblica conservatrice, che ricordiamo aver visto coi nostri occhi benedire le bandiere naziste e fasciste di fronte alle parate irte di pugnali, si muovono più avvedute, prendendo atto dell’imprescindibile rapporto tra pace e sviluppo: ma ancora sostanzialmente blandendo i forti, i ricchi, “i nobili” e commiserando i deboli, i poveri, i paria. Non è questa la pace che ci è necessaria: è un ulteriore compromesso equivoco.
Occorre l’impegno continuativo, strategico, per la costituzione del nuovo mondo e la demolizione del superato, attenti a muovere le proprie forze in modo da suscitarne ovunque nuove: occorre una rivoluzione nonviolenta impegnata a eliminare lo sfruttamento, l’assassinio, l’investimento di energie in strumenti di assassinio e promuovere reazioni a catena di nuova costruzione.
È più facile dubitare dell’efficacia della rivoluzione nonviolenta finché questa non avrà storicamente dimostrato di saper cambiare anche le strutture.
L’azione nonviolenta è rivoluzionaria anche in quanto, con la sua profonda capacità di animare le coscienze, mette in moto altre forze pure diverse nei metodi. Ciascuno che aspira al nuovo fa la rivoluzione che sa.
Molte volte la situazione a Partinico era così grave, il terrore della mafia così diffuso, che sembrava di lavorare sopra una frana. Se in queste condizioni qualcuno di noi doveva reagire – come in galera quando altro non è possibile – decidendo per esempio di digiunare, per fare in modo che i contadini uscissero dal loro isolamento, puntando a illuminare una realtà inaccettabile e a non indicare precise alternative, diversi si dicevano non d’accordo col digiuno; ma via via che passavano i giorni si caricava la coscienza di molti, si accendevano le discussioni, si moltiplicavano le iniziative (degli embrionali sindacati, dei comuni, dei partiti o di individui e gruppi – anche polemiche o addirittura concorrenziali): e molti ora, quando guardano il nuovo lago di Partitico con le sue anatre, non possono non pensare a come si è riusciti a muovere dalle prime pietre tutta la massa della diga.
  Spesso ammiriamo forze rivoluzionarie violente non perché siano le uniche possibili o le più adatte nelle circostanze in cui operano, ma perché dove agiscono sono le uniche esistenti, le uniche hanno il coraggio di esistere.

Chi pensa che la guerra sia la forma suprema di lotta, il modo di risolvere i contrasti, ha una visione ancora molto limitata dell’uomo e dell’umanità. Chi ha effettiva esperienza rivoluzionaria sa come per riuscire a cambiare una situazione deve fare appello, esplicitamente o meno, ad un livello morale, oltre che materiale, superiore a quello imperante; sa come l’appellarsi a principi più esatti, ad una morale superiore, divenga elemento di forza effettiva: e in questo modo la sua azione è rivoluzionaria anche in quanto contribuisce a creare nuova capacità, nuova cultura, nuovi istinti: nuova natura dell’uomo.
Personalmente, sono persuaso che la pace si identifica con l’azione rivoluzionaria nonviolenta. Devo riconoscere che la lotta contro una situazione insana può condurre più vicino alla sanità – dunque alla pace – pur con altri mezzi: ma non posso non tener presente come la violenza, anche se diretta a fini generosi, ha ancora in sé il seme della morte.

Saper sperimentare.
Con un gruppo molto vario di giovani organizziamo una marcia da Milano a Roma per premere affinché il Governo italiano smetta la sua politica di clientela, e per manifestare la nostra opposizione alla guerra nel Vietnam, in particolare al comportamento del Governo americano. La base d’intesa è molto larga, i diecimila giovani che partono da Milano si succedono ad altri per settecento chilometri, la marcia divine un intenso seminario in cui si medita tra i partecipanti e con le popolazioni che si attraversano. Poiché alcuni gruppetti di ragazzi a tratti scandiscono “Johnson torna alle tue vacche”, molti contadini dei borghi che attraversiamo, soprattutto in Emilia, non sembrano affatto persuasi; sono come offesi: “le vacche non sono forse importanti?”, mormorano. I ragazzi cominciano a comprendere chilometro dopo chilometro la distinzione tra sfogo rabbioso e capacità di penetrare nelle popolazioni affinché ciascuno si muova ad assumere una posizione cosciente ed esplicita di fronte alla guerra. Quando arriveremo a Roma e si farà sentire il responsabile peso di quarantamila giovani dalla piazza del Parlamento fino all’Ambasciata americana, gli slogan che si sono sperimentati più penetranti ed efficaci sono “Pace sì, guerra no” e “Vietnam libero”.
 Per la stessa marcia è partita una colonna da Napoli verso Roma in cui moltissimi erano gli scugnizzi. Alcuni ragazzini ci si avvicinano, parliamo, via via passano i chilometri diventiamo amici, viene la sera, arriviamo nella piazza di un paese gremita di persone. Invitiamo alcuni giovani che ci sono apparsi più pensosi, seri, a parlare alla popolazione raccolta dal palco illuminato. A un ragazzino sveglio che mi aveva dato la mano negli ultimi cinque chilometri, domando: “Vuoi parlare anche tu?”. I suoi occhi si illuminano. Quando dovrebbe parlare, il funzionario d’un partito gli si avvicina preoccupato e gli domanda: “Ma…cosa dovresti dire?”. Gli occhi del piccolo sono in pena. Prego il funzionario di lasciargli dire quel che vuole. Il piccolo è di fronte al microfono, per la prima volta di fronte a migliaia di persone che non volevano la guerra, volevano la  pace, si era sentito “molto felicissimo” ed era venuto anche lui coi suoi compagni. L’applauso nella piazza era quasi un boato, ciascuno si sentiva espresso nel modo più semplice, e quel ragazzino non credo dimenticherà facilmente nella sua vita quanto ha detto quella sera di fronte a tutti.
Ciascuno che non si senta compreso e sostanzialmente accettato, si chiude rifiuta gli altri: è vero per individui come per popoli interi.
Il comportamento delle persone in gran parte dipende dal comportamento di chi hanno vicino. Quanto varia? Quando? Quale è la gamma dei casi? Per comprendere occorre osservare, sperimentare, per arrivare a cogliere fenomeni generali, per sapere prevedere le possibili reazioni ai diversi tipi di azione.
Gli ultimi secoli ci hanno provato per alcuni ambiti il valore del metodo, della sperimentazione. Occorre sperimentare in altre direzioni: solo dopo anni di ricerca, di tentativi, di errori, di parziali successi, si sviluppano in noi quelle facoltà interpretative e creative in cui sta il meglio di noi. Occorre avere occasione di conoscenza e verifica al di fuori degli ambienti e dei canali di informazione più consueti, osservando dai diversi punti di vista, raffrontando diverse qualità di vita.
Come si può effettivamente vincere le resistenze, è da scoprire sperimentalmente situazione per situazione. Finché uno non si forma e accresce una sua diretta esperienza, rimane intimamente disperato, brancolante – anche se librescamente saccente – tra l’esperienza degli altri.
E come l’individuo può apprendere, così dieci persone, cento, mille, decine di migliaia, milioni e milioni, miliardi di persone che non sanno ancora cercare, operare, vivere insieme, combattere in modo nuovo, possono apprenderlo.

Non vendersi.
I prepotenti, gli sfruttatori, i veri fuorilegge, difficilmente possono resistere nelle loro posizioni se non sono sostenuti e difesi da chi si vende loro.
Non occorre fatica a spiegare per quanti versi sia male vendersi, prostituirsi; come il lavoro mercenario, il vivere in modo che non ci persuade ci limita, ci disfa. Più fatica occorre a ciascuno per conoscere esattamente l’oggetto della eventuale scelta e la natura delle proprie motivazioni. Penso soprattutto agli intellettuali che possiedono doti, prospettive, senso critico: soprattutto a quelli che in privato dicono corna del loro “principale”. Persone di capacità e rettitudine professionale collaborano a giornali che, dietro la facciata, è facile scoprire falsi, assassini. Il processo spesso è quanto mai primordiale: si giudica il valore di un lavoro, di una collaborazione, dal prezzo che se ne ricava: sale l’opinione morale di sé nella misura della propria quotazione. O talvolta facile alibi è il proporsi di condizionare dall’interno sistemi negativi, di farsi cavalli di Troia. Molto spesso l’equivoco è facilitato dai paraocchi della specializzazione tecnica, dal mito della scienza pura. Anche con passi di questo tipo si è arrivati a costruire e a far funzionare Buchenwald, Auschwitz, Mauthausen.
Scegliere secondo necessità e coscienza – certo, non è facile –, rifiutarsi ad ogni professione o occasione che ci impegni in sfruttamenti e assassini di ogni genere, è un contributo fondamentale per rompere il sistema delle clientele, dal livello di strada a quello internazionale.

Saper mettere fuori legge i veri fuorilegge.
Per far leva occorre trovare un punto d’appoggio. Questo elementare principio di ogni strategia pone al rivoluzionario nonviolento una particolare attenzione per la scelta dei suoi fulcri: non farà leva sul marcio; non farà leva con astuzie selvagge o menzogne, ma con quanto meglio possa esprimere l’interesse di tutti.
Poter far leva sulle leggi morali e giuridiche più elevate, poter far leva anche su una legge minimamente democratica, ha un vantaggio: essendo le leggi, anche se non rappresentano in genere i punti più avanzati della cultura e della moralità, i punti convenzionalmente dichiarati comuni, chi risulta traditore del contratto sociale, risulta di fatto il vero fuorilegge. Le popolazioni, per saper più nitidamente come agire, devono sapere quali sono i veri fuorilegge.
Perché torture, sfruttamenti, avvelenamenti, brogli elettorali, gravi sprechi, in genere o avvengono in segreto o, chi li pratica, anche se ha il potere in mano, preferisce non risultino per quello che sono? Perché chi li pratica teme il peso, la forza del giudizio negativo degli altri.
L’opinione pubblica può distinguere, soprattutto se puntualmente stimolata, tra il padre di famiglia che avendo i piccoli alla fame va a cogliere un paniere di pomodori in un campo di cui non è proprietario, tra il negro che umiliato si ubriaca o si arruola volontario per sparare addosso a poveracci come lui –, e chi ha le maggiori responsabilità di situazioni inaccettabili; ha sufficiente intuito per orientarsi anche quando le sentenze giuridiche cercano di sovvertire il vero giudizio: ma ha difficoltà a raccogliere i fatti in fenomeni, a inquadrarli nell’insieme.
Una polizia tortura? Occorre documentare, denunciare caso per caso, in modo sempre più vasto e sistematico: in questo modo, pur tra facilmente immaginabili difficoltà, la polizia ed il suo comportamento vengono individuati come fuorilegge.
Si pratica lo sfruttamento, si lascia insicuro il lavoro in scala tale che le masse meno riflessive accettano tutto questo quasi come naturale? Occorre far crescere precise documentazioni e sistematiche denunce fin che divengano schiaccianti.
Brogli elettorali di ogni tipo impediscono che si esprimano veracemente le necessità di una popolazione? Occorre documentare caso per caso, paese per paese, zona per zona, in modo sistematicamente crescente, non dando per scontato che già si sa, aprendo e facendo aprire gli occhi, macchine fotografiche e quanto altro possa servire.
Avvengono sprechi di ogni genere? Occorre apprendere a far leva in modo circostanziato, dal livello dell’interesse locale a quello generale, documentando come sia balordo sprecare enormi energie, ricchezze di ogni genere, e non valorizzarne altrettante potenziali.
E così dove o quando manca libertà di espressione, di informazione, di riunione e altre essenziali. In ogni zona occorre ricercare quali sono i possibili fulcri e quali possono meglio valere. Il portare avanti campagne di questo tipo rinforza in ogni senso chi le muove.
Ovviamente, passo essenziale è mettersi in condizione di far le nuove leggi e le strutture nuove necessarie.

Saper muovere nuovi fronti.
Se le armi sono nate nelle mani dei nostri antenati che stentavano a procurarsi il cibo tra le belve soverchianti, come strumenti utili alla propria sopravvivenza, ora non ha alcun senso che le armi ci crescano nelle mani: sono anacronismi assurdi.
Esistono i mostri: hanno ben più che cinquanta passi di lunghezza, sputano fuoco a ben più di trenta passi, hanno ben più che due fauci; inceneriscono ben più che una casa col loro sputo, paralizzano di terrore ben più che una piazza di folla. Ben nutriti anche dalla carne e dal sangue delle loro vittime, hanno nervi magnetici e tendini d’acciaio, un fiato irrespirabile che annebbia la vista del sole, escrementi che corrompono fiumi e laghi e mari, sanno articolarsi terrorizzando per migliaia di chilometri, sanno vomitare fuoco contemporaneamente su centinaia e centinaia di chilometri, vetrificando in un attimo milioni di persone, città costruite dall’opera di milioni di persone in migliaia di anni: l’una fauce del mostro sa anche avventarsi contro l’altra sua, l’artiglio contro il suo artiglio. Le più orride fantasie del passato, dall’Apocalisse a tutti i mostri inventati dagli artisti o dal commercio dell’orrore per vincere la noia dei troppo sazi, ci fanno sorridere per la loro ingenuità al confronto.
Non solo dobbiamo sgonfiare questi mostri non alimentandoli e non lasciandoli nutrirsi di noi: dobbiamo sapere chiaramente in ogni nostra fibra che questi mostri noi li abbiamo costruiti, e noi li possiamo distruggere creando altro.

È più la gente che ha interesse a operare cambiamenti verso un mondo di tutti, o più la gente che pensa suo interesse mantenere le situazioni come sono?
Nella misura in cui si riesce a interpretare e ad esprimere le profonde esigenze di migliaia, di milioni, di centinaia di milioni, di miliardi di uomini, e li si aiuta a prendere coscienza di sé e dei propri problemi, ad avviare iniziative alternative di ogni tipo, dal minimo al più alto livello, a premere con efficacia, in quella misura si riesce a mettere in moto una forza concretamente rivoluzionaria.
Persone o gruppi nuovi che rifiutano il pensiero di seconda mano, la vita di seconda mano, impegnati nella valorizzazione della vita, già esistono: è urgente riconoscerli, verificare reciprocamente le esperienze, tendere a creare nuovi fronti organici.

Saper pianificare organicamente.
L’opposto dello scontrarsi – incontrarsi del caos, del lasciare tutto accadere a caso, della furbizia delle lotterie, è pianificare; l’opposto di essere mostri, è svilupparsi organicamente. All’umanità necessita raggiungere la sua unità organica: la pace non viene a caso, è inventare il futuro.
Se è più facile che una pianificazione risulti efficace disponendo del potere, non si devono sottovalutare le possibilità della pianificazione d’opposizione. Una delle insufficienze di certi movimenti rivoluzionari è la debolezza del loro fronte costruttivo rispetto alla loro capacità di coscientizzare, o al peso che riescono a raggiungere nella protesta, nella pressione. La costruzione di nuovi gruppi organici e la demolizione dei vecchi sistemi devono procedere coordinate, potenziandosi a vicenda: il crescere di una alternativa persuasiva incoraggia la denuncia e l’attacco ai vecchi gruppi; d’altra parte la perdita di autorità delle vecchie strutture facilita lo sviluppo delle nuove.
Riprendo in sintesi il caso della diga costruita sul fiume Jato. Sulla popolazione, come disperata, dominava la mafia, forte dei suoi rapporti politici: non c’erano prospettive di cambiamento. Si cerca coi più attenti quali possono essere le soluzioni. Si verifica, dopo lunga incertezza, la necessità – possibilità di costruire una grande diga per irrigare la zona. Azione educatrice in profondità affinché la popolazione comprenda esattamente cosa è una diga. Pressione prima di pochi, poi sempre più vasta e ripetuta finché si inizia la diga. Sviluppo tra gli operai del grande cantiere, di un sindacato: le assunzioni non avvengono più attraverso la mafia, che perde prestigio. I mafiosi locali sono pubblicamente denunciati, viene denunciato il loro rapporto coi due potenti politici della zona: i due politici vengono estromessi dal Governo nazionale. I lavori di costruzione vengono accelerati. Nascono i primi, anche se rudimentali, centri per la promozione di un consorzio democratico d’irrigazione tra cinquemila famiglie, in modo che si abbia acqua democratica e non di mafia. Nascono cooperative. Nella vicina valle del Belice intanto sono iniziate pressioni per la costruzione di una nuova, più grande diga. Nella Sicilia occidentali le popolazioni ora si muovono per ottenere non una o due dighe ma dodici grandi dighe. Cresce intanto un centro per la formazione di quadri esperti in sviluppo pianificato con la partecipazione della popolazione.
Cosa ha significato esattamente per noi tendere con la massima partecipazione popolare ad inventare il piano di sviluppo per la zona?
Incontri individuali, scambi di notizie e opinioni con piccoli gruppi informali;
Lavoro – discussione di gruppo;
Rapporti organici con gruppi locali che vanno crescendo;
Promozione di autoanalisi popolare su problemi di fondo da confrontarsi con monografie tecniche sugli stessi problemi;
Sviluppo elicoidale di conversazioni su temi d’interesse comune: in modo che si scopra, si inventi sulla base dell’esperienza di ciascuno;
Introduzione analitica di un esperto e successivo dibattito;
Promozione di documentazione (fotografia, diaristica, statistica, verbali ecc.);
Promozione di sperimentazione e invenzione (campi di prova, cooperazione nuova, iniziative varie di educazione aperta);
Promozione di scoperta (viaggi, lettura, incontri nuovi);
Promozione – pubblicazione di autoanalisi e confronto con analoghe iniziative avviate altrove;
Rapporti intercomunali e interzonali con esponenti di gruppi locali;
Proposte di ipotesi (anche con letture, disegni, plastici, film) e successiva discussione;
Promozione di analisi e sperimentazione nei gruppi omogenei qualificati (educatori, medici, urbanisti, tecnici vari) con la partecipazione di specialisti – consulenti;
Convegni in cui propongono alla discussione più aperta i risultati maturati dai gruppi già approfonditi;
Pressioni – discussione a livello locale, regionale, nazionale;
Contrapposizione dialettica tra fatti nuovi (morali, organizzativi, economici, formali) in cui ciascuno possa contribuire allo sviluppo, e vecchia esperienza, modelli fissi.
 
L’assunzione di responsabilità di un popolo si matura attraverso assunzioni di responsabilità individuali e di gruppo. La noncollaborazione di un popolo a quanto viene considerato insano, superato, si concreta attraverso la volontà di noncollaborazione di individui e di gruppi. Nuovi rapporti nell’umanità possono sì realizzarsi in quanto si costruiscono nuove visioni d’insieme, nuove qualità di rapporto, nuovi centri mondiali, nuove strutture nazionali ed internazionali, nuovi metodi di rapporto, ma nella misura in cui a livello individuale, di gruppi, di popoli, tutto questo viene maturato: il processo è interdipendente.
È necessario passare da un mondo autoritario e frammentato ad un mondo pluricentrico e coordinato. Le difficoltà dei giovani stanno soprattutto tra l’inadattabilità, l’inaccettabilità del vecchio mondo e, appunto, la difficoltà ad inventare il nuovo.
Gli uomini oggi stanno diventando esperti di macchine, ma hanno elementari difficoltà a concepire gli organismi.

Pace è un modo diverso di esistere.
Mi prende un dubbio. Controllo il senso della parola “pace” su altri vocabolari, non italiani. Nel Dizionario dell’Accademia francese, paix : “stato di calma, di riposo, di silenzio, assenza di chiasso o di faccende”. Nel Dizionario della Reale Accademia Spagnola, paz : “virtù che pone nell’animo tranquillità e sussiego, è uno dei frutti dello Spirito santo”. Nell’Oxford English Dictionary, peace : “libertà da – o cessazione di – guerra o ostilità; la condizione di una nazione o comunità in cui non c’è guerra con altri”. Nel monumentale vocabolario tedesco dei Grimm, Friede : “ozio, tranquillità, tutela”. Non ho altri vocabolari per verificare oltre, ma ove si osservi attentamente, d’altronde, si ha conferma della diffusa confusione e insufficienza al proposito, si ha conferma di come occorre chiarire l’intimo rapporto tra pace, consapevolezza, coraggio, rivoluzione nonviolenta, non vendersi, sperimentare, nuova strategia, pianificazione organica.
È necessario riuscire a rendere ogni giorno meglio evidente come un nuovo lavoro capillare di costruzione e pressione, prima di gruppi – pilota e poi di moltitudini di nuovi gruppi volontari, può riuscire a trasformare effettivamente le vecchie strutture sociali e politiche. L’evidenza di nuovi fatti può aiutare a chiarire. Certo, è un enorme lavoro, un’enorme fatica si deve fare, ma è forse possibile pensare che il mondo nuovo che ci necessita si possa creare da sé? Forse non costa ancor più fatica – in quanto per troppi aspetti antieconomico – il mondo così come è?

Sì, pace vuol dire anche decantare rabbie e rancori, sapere disintorbidarsi per trovare il modo – ogni volta difficile – di eliminare il male senza eliminare il malato o nuocergli, capacità di sacrificio personale, sapere maturare le qualità essenziali e, quando è buio, anche se il buio dura terribilmente, saper vedere oltre. Ma tutto questo, se non è concepito nel quadro più vasto, è ancora un ingenuo tentativo di evasione: uno dei tanti modi di suicidarsi.
La pace che amiamo e dobbiamo realizzare non è dunque tranquillità, quiete, assenza di sensibilità, evitare i conflitti necessari, assenza di impegno, paura del nuovo, ma capacità di rinnovarsi, costruire, lottare e vincere in modo nuovo: è salute, pienezza di vita (anche se nell’impegno ci si lascia la pelle), modo diverso di esistere. Dice il mio piccolo Amico: “È il contrario della guerra”.

martedì 3 gennaio 2012

parolesemiserie: ciascuno cresce solo se sognato

parolesemiserie: ciascuno cresce solo se sognato: buona sera, naviganti. il terzo giorno del nuovo anno volge alla fine. sono ritornata al lavoro che, a differenza di tanti,troppi, anche s...

ciascuno cresce solo se sognato

buona sera, naviganti.
il terzo giorno del nuovo anno volge alla fine.
sono ritornata al lavoro che, a differenza di tanti,troppi, anche se a volte è causa di rabbia e frustrazione, è lì che aspetta che io lo svolga con l'impegno e la passione che provo a mettere nelle cose che faccio.
mi piace fare bene il mio lavoro, mi piace essere il più possibile disponibile, gentile e competente, a prescindere delle cose di cui mi devo occupare.
ci sono molte cose che mi fanno tristezza in questo periodo, ma fra tutte, forse a causa delle esperienze del passato, sono le persone che non hanno più il lavoro o che il lavoro non lo hanno mai trovato o che hanno un lavoro che non permette loro una vita dignitosa e di rispetto.
spetterebbe alla classe politica e a quella imprenditoriale trovare idee e soluzioni, ma sembra che in questo periodo si sappiano fare solo conti, tagli e rinunce.
spetterebbe a chi ha di più, pagare di più. E invece a pagare sono i soliti noti e l'indecenza di certe dichiarazioni è veramente insopportabile.
è difficile capire come sia possibile che una persona dichiari che con un reddito da 30.000,00 euro al mese si faccia una vita da cani... e non è il solo questo signore, anche qualcun altro disse poco tempo fa che con 150.000,00 euro all'anno di reddito non si sia benestanti...
io lavoro 36ore a settimana a cui si aggiungono circa 10 ore di viaggio, sempre a settimana per un reddito
che non sempre arriva a 1.300 euro al mese... gestisco diverse centinaia di migliaia di euro, faccio contabilità di cantiere,gare di appalti pubblici, ho relazioni con cittadini, imprese e professionisti.
so usare il computer come fosse una mia terminazione nervosa, parlo al telefono e scrivo al computer, o lo consulto in contemporanea...
non mi lamento, faccio fatica, ma non mi lamento, ho un lavoro sicuro e sono stimata e quello che ho seminato si è trasformato nel rispetto di buona parte dei miei interlocutori...
cosa mi manca? la tranquillità, l'equità, la giustizia, il sapere che il mio impegno potrà determinare il buon esito di un procedimento o il miglioramento della vita di qualcuno, ma non  sempre è così...
provo spesso il bisogno di rifuggire nella poesia, nella lettura, nella musica, nel teatro e nell'impegno civile.
si incontrano tante vite, tante persone, attraverso queste attività.
quella a cui ho pensato spesso oggi è danilo dolci,educatore, politico, filosofo della nonviolenza,testimone di pace straordinario, fondatore della maieutica reciproca.
voglio lasciarvi con una sua breve poesia


C'è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c'è chi si sente soddisfatto
così guidato.
C'è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c'è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.
C'è pure chi educa, senza nascondere
l'assurdo che è nel mondo,
aperto a ogni sviluppo,
cercando di essere franco all'altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.

Vi piace? spero proprio di si, a me tanto...


Buonanotte, sognatori del web...

domenica 1 gennaio 2012

io ho un sogno


"I have a dream" (Io ho un sogno)

Martin Luther King

Discorso pronunciato a Washington il 28 agosto 1963

Io ho un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.
Io ho un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell'arroganza dell'ingiustizia, colmo dell'arroganza dell'oppressione, si trasformerà in un'oasi di libertà e giustizia.
Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho un sogno, oggi!.
Io ho un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno. E' questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud.
Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza.
Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l'America vuole essere una grande nazione possa questo accadere.
Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York.
Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania.
Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve.
Risuoni la libertà dai dolci pendii della California.
Ma non soltanto.
Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia.
Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.
Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà.
E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: "Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente".

gli occhi della possibilità



Sono gli auguri di Don Ciotti, pubblicati sul sito perlapace.it  all'inizio dello scorso anno. Credo siano parole meravigliose da leggere e rileggere e sottolineare!!!
Le realtà e gli amici del Gruppo Abele, si sono ritrovati nei giorni scorsi nella "Fabbrica delle e", la sede torinese dell'associazione, per scambiarsi gli auguri di Natale. Pubblichiamo un sunto della riflessione di Luigi Ciotti, che dopo aver ripercorso i 45 anni della storia del Gruppo Abele ne ha isolato alcune parole chiave prendendo spunto dal racconto di Jean Giono, “L'uomo che piantava gli alberi”.

Era il Natale del 1965. A Torino, per molti, "non c'era posto". È per loro che 45 anni fa è nato il Gruppo Abele. Per costruire opportunità di accoglienza e di sostegno a chi faceva più fatica. Dalla droga, alle carceri minorile, allo sfruttamento delle prostituzione, all'Aids, alle cooperative di lavoro, quante persone incontrate e accompagnate. In Italia e nel mondo: il Vietnam, poi il Messico, il Guatemala e oggi l'Africa. Oggi i nomi, i volti, le storie sono cambiati. Non solo a Torino, ma nel nostro Paese e nel mondo. Ancora per troppi, però, "non c'è posto". Ecco perché quelle speranze, quei bisogni, chiedono ancora oggi delle risposte. Nel segno di quella fame e sete di giustizia che ha guidato le nostre scelte e che ci ha fatto scommettere suLibera, quindici anni fa, per contrastare a livello sociale, educativo, culturale le logiche criminali delle mafie, della corruzione, dell'illegalità.
Abbiamo riconosciuto in una storia, L'uomo che piantava gli alberi di Jean Giono, il senso di questo nostro camminare. Una storia, quella di Giono, che celebra la vita attraverso il sogno di una persona che si mette al servizio della vita. L'uomo che piantava gli alberi è ciascuno di noi quando ci impegniamo per affermare bellezza, giustizia, dignità. Quando scopriamo che la libertà più grande non è la libertà dell'io ma la libertà dall'io. Questa storia ci sembra "racchiusa" in dieci parole chiave.

La prima è acqua. L'acqua è la vera protagonista del racconto. Quando arriva nel paese, il narratore trova solo macerie e una fonte secca. Il miracolo del pastore è rigenerare la terra attraverso gli alberi, costruire le condizioni perché l'acqua, rintanata nelle viscere della terra, riemerga in superficie. L'acqua è il bene comune per definizione. Un bene che, come l'aria, non può avere confini né proprietà. Non possiamo permettere di privatizzarla, di farne merce di profitto. Non appartiene a noi, appartiene alla vita.
La seconda parola è essenzialità. Il pastore vive in una casa di pietra, fatta di poche cose, ma profondamente dignitosa, pulita, accogliente. Non abbiamo bisogno di troppe cose, quando impariamo a riconoscere l'essenziale.
La terza parola è accoglienza. Per quanto taciturno, il pastore sa offrire al narratore i segni concreti dell'ospitalità. Condivide con lui la minestra, gli offre un letto per riposare, lo lascia libero di fare ciò che meglio crede per riprendersi e rilassarsi. La sua è un'accoglienza fondata sul riconoscimento. È uno stare accanto mai invadente, un accompagnare sempre rispettoso della libertà altrui.
La quarta parola è gratuità. Il pastore non sa a chi appartiene la terra dove pianta i semi ma questo non è un motivo per non prendersene cura. È una terra arida, abbandonata: e questo basta per darsi da fare a farla rifiorire. Bisogna andare oltre i recinti, le isole - nella vita, nei rapporti umani, nel lavoro. La terra è un bene che è responsabilità di tutti tutelare e custodire.
La quinta parola è attenzione. La vita del pastore è fatta di gesti meditati, guidati da una coscienza vigile. Mette tutto se stesso in tutto quello che fa: si tratti di dividere i semi migliori da quelli difettosi, di scavare i buchi per interrarli, di decidere dove piantare le querce o altri tipi di alberi. Non è mai distratto: in ogni suo gesto c'è devozione e stupore per la vita. Così un gesto, anche se ripetuto migliaia di volte, è sempre diverso, è sempre un nuovo inizio. Una vita attenta non potrà mai essere una vita monotona.
La sesta parola è costanza, continuità. Senza tenacia un'opera del genere sarebbe impossibile. Bisogna impegnarsi quotidianamente, sapendo che dei tanti semi sparsi solo una parte riuscirà a diventare albero. Costanza è anche equilibrio interiore: non esaltarsi per il risultato raggiunto, non abbattersi nel momento di fatica, di scoraggiamento. Quando ci volteremo indietro a guardare le nostre fatiche, scopriremo che in quei momenti di lotta ci siamo sentiti vivi.
La settima parola è silenzio. Uomo di poche parole, il pastore ci avverte che bisogna fare silenzio dentro di sé per ascoltare il linguaggio della vita. La parola più autentica, più comunicativa, è quella che scaturisce dall'ascolto più profondo.
L'ottava parola è passione. Il pastore ama quello che fa. Ama piantare i semi, ama gli alberi che vede crescere, ama il luogo in cui vive già prima di prendersene cura. Lo ama perché lo vede con gli occhi della possibilità, del futuro, della speranza. Coltiva quel paesaggio con lo sguardo, prima ancora che con le mani.
La nona parola è cambiamento. Quella terra non è più quella del passato, secca, arida di vita e di relazioni umane. È rifiorita: l'acqua è ripresa a scorrere, gli animali e gli uccelli arrivano per primi, poi arrivano anche le persone, si riforma una comunità. È un cambiamento che ha radici profonde e, alle spalle, l'opera paziente di un solo uomo. Nessuno lo sa, ma a lui questo non importa. Quel bosco non lo ha fatto per sé, lo ha fatto perché ama la vita.
La decima parola è speranza. Ci vuole una grande speranza per sostenere un impegno così grande, ma ci vuole anche un impegno costante per alimentare una così grande speranza. Come una pianta, la speranza si radica sul nostro fare. Se ciascuno di noi si impegnasse di più ci sarebbero attorno a noi meno deserti: meno disuguaglianze, meno egoismi, meno personalismi, meno illegalità, meno giochi criminali. Ogni albero è in fondo un diritto. E i diritti non basta affermarli, vanno tutelati giorno per giorno, fatti crescere in altezza e nella coscienza di ciascuno di noi. 
La storia dell'Uomo che piantava gli alberi, è certo una storia eccezionale, solitaria. Ma l'impegno sociale vuol dire "noi", chiede a ciascuno di coltivare almeno un albero.. [...]
 

don Luigi Ciotti
Fonte: Gruppo Abele
www.perlapace.it

poesie per peppino impastato


Poesie per Peppino Impastato

Salvo Vitale / Contadini di Punta Raisi

Cade ancora la luna sulla terra del passato.
Vivevamo i mattini di silenzio
mentre il sole tardava.
Buon odore di terra sulle mani.
Buon sapore di brina sopra l’erba.
Le parole dei vecchi
crescevano fanciulli di salsedine
dentro i secoli fermi di lavoro.
Era il mito a gridare
nell’estate mai finita,
sulle strade di polvere e di ulivi,
sulle vaste radure che, la notte,
aprivano nel cuore felicità e paura.
Il presente come allora si vive
dentro un mondo di lotta e di illusioni.
Non c’è niente che possa cambiarci:
gente forte, un po’ triste,
forse troppo ignorante e troppo sola
per tenerci soltanto ciò che è nostro.
Il domani è già buio,
dove passano uccelli di fame
e fanciulli muti,
dove muoiono i vecchi senza un cielo,
mentre cadono uccelli d’acciaio
sul giardino distrutto.

1969


Umberto Santino / Sarai meno solo

Avremmo potuto pensare
il silenzio ritorna
e noi stretti intorno ai frammenti
del tuo corpo
schiacciati da troppe morti
prima che dagli altri
vinti da noi stessi
(dov’erano i compagni più amati
di cui più ti fidavi?
Come nei presepi dell’infanzia
le rocce si sono rivelate
sugheri dipinti
leggere come il fumo
e più delle parole rubate
da chi ti vuole suicida
la tua morte ci giudica
la tua solitudine ci misura)
gridare per l’ultima volta
per sentirci meno soli
per darci coraggio.
Ma c’erano i vecchi
che stringevano la mano
dopo il comizio,
c’erano le mani che chiedevano
il volantino,
c’erano le porte aperte
dopo la prima paura
(Mafiopoli prendeva respiro)
c’era il tuo nome
segnato sulla scheda
per rispondere
a chi l’aveva cancellato
sui manifesti:
piccole crepe, certo,
in un muro che restava muro.
E c’era l’ira dei cortei
anche se i gesti erano
troppo piccoli
(un sasso scagliato
contro la bottega del potere)
e le parole troppo grandi
(come possiamo dire
nulla resterà impunito
se non possiamo neppure impedire
che il tuo volto distrutto
venga infangato sui giornali?).
La tua vendetta
sarà allargare la breccia
spalancare le porte.
Così sarai meno solo
dietro il muro dei morti.

1978


Umberto Santino / La matri di Pippinu

Chistu unn’è me figghiu.
Chisti un su li so manu
chista unn’è la so facci.
Sti quattro pizzudda di carni
un li fici iu.

Me fighhiu era la vuci
chi gridava ’nta chiazza
eru lu rasolu ammulatu
di lo so paroli
era la rabbia
era l’amuri
chi vulia nasciri
chi vulia crisciri.

Chistu era me figghiu
quannu era vivu,
quannu luttava cu tutti:
mafiusi, fascisti,
omini di panza
ca un vannu mancu un suordu
patri senza figghi
lupi senza pietà.

Parru cu iddu vivu
un sacciu parrari
cu li morti.
L’aspettu iornu e notti,
ora si grapi la porta
trasi, m’abbrazza,
lu chiamu, è nna so stanza
chi studìa, ora nesci,
ora torna, la facci
niura come la notti,
ma si ridi è lu suli
chi spunta pi la prima vota,
lu suli picciriddu.

Chistu unn’è me figghiu.
Stu tabbutu chinu
di pizzudda di carni
unn’è di Pippinu.

Cca dintra ci sunnu
tutti li figghi
chi un puottiru nasciri
di n’autra Sicilia

1979


La madre di Peppino

Questo non è mio figlio.
Queste non sono le sue mani
questo non è il suo volto.
Questi brandelli di carne
non li ho fatti io.

Mio figlio era la voce
che gridava nella piazza
era il rasoio affilato
delle sue parole
era la rabbia
era l’amore
che voleva nascere
che voleva crescere.

Questo era mio figlio
quand’era vivo,
quando lottava contro tutti:
mafiosi, fascisti,
uomini di panza
che non valgono neppure un soldo
padri senza figli
lupi senza pietà.

Parlo con lui vivo
non so parlare
con i morti.
L’aspetto giorno e notte,
ora si apre la porta
entra, mi abbraccia,
lo chiamo, è nella sua stanza
a studiare, ora esce,
ora torna, il viso
buio come la notte,
ma se ride è il sole
che spunta per la prima volta,
il sole bambino.

Questo non è mio figlio.
Questa bara piena
di brandelli di carne
non è di Peppino.

Qui dentro ci sono
tutti i figli
non nati
di un’altra Sicilia.


Salvo Vitale / Compagno

Ti riscopro tra la neve dei mandorli,
petalo anche tu, staccato dal vento
tra i frammenti di luna sul mare caldo,
anche tu scaglia di luce inafferrabile,
nella sera d’agosto, sulla spiaggia,
con il corpo abbronzato, poi distrutto,
nel mattino di aprile sul divano
a tentare una via di comunicazione
tra le nostre schermate solitudini.
Ti risento amplificato, senza enfasi,
pronunciare la tua elegia di morte,
in mezzo alla nostra fame di bisogni
aprire rivoli di speranza e di scontro,
e ancora, nella tela dell’angoscia,
piangere e rialzarti con la consueta energia.
Da molto ci sei stato. Non avevo che te,
compagno, finito nella notte,
portando sul fondo della gola
la paura di darmi un bacio.

1980


Umberto Santino / Lettera ai compagni di Peppino, per ricordare
e, se è possibile, per continuare


Io non so
se è ancora possibile
parlare senza mentire
guardarsi negli occhi
senza abbassare le palpebre
ripensare i giorni dei vivi
(quando Peppino
era ancora tra noi
e la sua vita era nuda
febbrile
e le sue lacerazioni
chiedevano tenerezze negate
abortite carezze)
e le notti dei morti
(quando il suo corpo
fu steso sul binario
le gocce del suo sangue
esplosero nel lampo del tritolo
e il suo nome
fu cancellato sui manifesti
il suo volto offeso
da nemici più feroci degli assassini)

Io non so se è ancora possibile
ricordarlo
e ricordarci

sono trascorsi pochi anni
ma è passato un tempo più lungo
di mille eternità
e oggi abbiamo
mani più vuote
della bara che portava
le sue briciole
oggi siamo nudi
più dei suoi nervi
che bucavano la pelle
siamo disperati
più di quando meditava il suicidio
e lanciava al mondo
la sfida dei suoi fallimenti

Il millennio muore
in una infinita Chernobyl
del desiderio e della speranza

Non vogliamo più piangere
non abbiamo più certezze
e cerchiamo di arredare
i nostri giorni
con mani più umili
di quelle che allevavano
sogni e furori
nelle viscere del ’68
ma una sola cosa
vorrei che ci dicessimo

(se è ancora possibile
parlare senza mentire
guardarci negli occhi
senza abbassare le palpebre)

che non possiamo consegnarci
alla viltà e alla menzogna

Peppino ci unisce

se sappiamo ancora
vivere la sua vita
in una stagione diversa
con nuove immagini
e nuove parole
ma con la stessa volontà
di negarsi alla crudeltà degli assassini
alle astuzie dei mercanti
che offrono scampoli di potere
per elevare al cielo
le loro piramidi di voti
alle chiacchiere di chi copre
la sua svendita
al migliore offerente
con patacche senza valore

Peppino ci divide

se non abbiamo più voglia
di scontrarci
quando è necessario
scontrarsi
di rompere con il padre
quando tutti diventano
figli della desolazione
ed eredi della viltà

Il millennio muore
in un’infinita Chernobyl
del desiderio e della speranza

ma non ci saranno nuovi giorni
se non sapremo
parlare senza mentire
guardarci negli occhi
senza abbassare le palpebre
se non avremo dentro
tanta rabbia e tanta tenerezza
da squarciare le nuvole
se non saremo capaci
di dare amore
a un compagno come lui
separato da tutti
se non sapremo incontrarlo
anche in fondo
al pozzo delle solitudini
e camminare insieme
a testa alta
tra le case
con le finestre sbarrate
sfidando
il silenzio dei vili
e la vittoria degli assassini

1990

poesie di peppino impastato


Poesie di Peppino Impastato

1
Un mare di gente
a flutti disordinati
s'è riversato nelle piazze,
nelle strade e nei sobborghi.
È tutto un gran vociare
che gela il sangue,
come uno scricchiolio di ossa rotte.
Non si può volere e pensare
nel frastuono assordante;
nell'odore di calca
c'è aria di festa.

2
Appartiene al suo sorriso
l'ansia dell'uomo che muore,
al suo sguardo confuso
chiede un po' d'attenzione,
alle sue labbra di rosso corallo
un ingenuo abbandono,
vuol sentire sul petto
il suo respiro affannoso:
è un uomo che muore.

3
Fiore di campo nasce
sul grembo della terra nera,
fiore di campo cresce
odoroso di fresca rugiada,
fiore di campo muore
sciogliendo sulla terra
gli umori segreti.

4
È triste non aver fame
di sera all'osteria
e vedere nel fumo
dei fagioli caldi
il suo volto smarrito.

5
E venne a noi un adolescente
dagli occhi trasparenti
e dalle labbra carnose,
alla nostra giovinezza
consunta nel paese e nei bordelli.
Non disse una sola parola
né fece gesto alcuno:
questo suo silenzio
e questa sua immobilità
hanno aperto una ferita mortale
nella nostra consunta giovinezza.
Nessuno ci vendicherà:
la nostra pena non ha testimoni.

6
Lunga è la notte
e senza tempo.
Il cielo gonfio di pioggia
non consente agli occhi
di vedere le stelle.
Non sarà il gelido vento
a riportare la luce,
né il canto del gallo
né il pianto di un bimbo.
Troppo lunga è la notte,
senza tempo,
infinita.

7
Passeggio per i campi
con il cuore sospeso
nel sole.
Il pensiero,
avvolto a spirale,
ricerca il cuore
della nebbia.

8
Seduto se ne stava
e silenzioso
stretto a tenaglia
tra il cielo e la terra
e gli occhi vuoti
fissi nell'abisso.

9
Fresco era il mattino
e odoroso di crisantemi.
Ricordo soltanto il suo viso
violaceo e fisso nel vuoto,
il pianto delle donne,
il singhiozzo della campana
e una voce amica:
"è andato in paradiso
a giocare con gli angeli, tornerà presto
e giocherà a lungo con te".

10
Stormo d'ali contro il sole,
capitombolo nel vuoto.
Desiderio,
erezione,
masturbazione,
orgasmo.
Strade silenziose,
volti rassegnati:
la notte inghiotte la città.

11
Il cuore batte con l'orologio
il cervello pulsa nella strada:
amore e odio
pianto e riso.
Un'automobile confonde tutto:
vuoto assoluto.
Era di passaggio.

12
Sulla strada bagnata di pioggia
si riflette con grigio bagliore
la luce di una lampada stanca:
e tutt'intorno è silenzio.

13
Nubi di fiato rappreso
s'addensano sugli occhi
in uno strano scorrere
di ombre e di ricordi:
una festa,
un frusciare di gonne,
uno sguardo,
due occhi di rugiada,
un sorriso,
un nome di donna:
Amore
Non
Ne
Avremo.

14
I miei occhi giacciono
in fondo al mare
nel cuore delle alghe
e dei coralli.

I MIEI RUMENI di Eleonora Bernardi


sabato 27 febbraio 2010

Sono andati via.
Hanno abitato l’attico che sovrasta il mio appartamento per poco più di un anno. Ricordo quando erano appena arrivati con le loro povere cose, valigie gonfie e malandate, pacchi confezionati alla meglio, buste di plastica provate da un lungo viaggio.
Accolti dai condomini con sospetto e forzata sopportazione. In nome dei tempi che cambiano, qualcuno diceva :- Speriamo che si comportino bene! Altrimenti…!
Già tutti pronti a far capire ai “nuovi” che le regole vanno rispettate, anzi che qualcuno deve rispettarle di più.
I Rumeni cominciarono la loro avventura muovendosi con circospezione, ridotti alla condizione di piccole formiche esploratrici, su un terreno che avvertivano impervio e pericoloso.
Salutavano sempre con rispetto, cedevano il passo all’ascensore, trattenevano aperto il pesante cancello quando scorgevano un condomino in arrivo: piccole accortezze che hanno a che fare con le norme della buona educazione ma che loro sentivano l’obbligo di osservare a differenza degli altri, i padroni di casa , cui era concesso qualche piccola o grande reciproca scortesia che non avrebbe avuto conseguenza alcuna.
Un giorno diedero una grande festa, con canti, suoni e balli in stile rumeno, nel mio appartamento sembrava essersi scatenato l’inferno!
Salii al piano di sopra determinata a chiedere, in nome della civile convivenza, di contenere la loro allegria…Non ero arrabbiata ma stupita e allarmata, ero certa che qualcuno si sarebbe risentito e volevo battere gli altri sul tempo.
Mi accolsero con vera gioia:- Entra! Entra! Mi dissero. –Stiamo festeggiando per ingresso Romania in Europa!
Avevano gli occhi neri e lucenti, grandi e piccini.
Vollero farmi assaggiare i loro dolci (squisiti) e i loro cibi piccanti.
Poi la padrona di casa mi presentò parenti e amici e ognuno pareva ansioso di raccontarmi la sua storia.
Ognuno a modo suo chiese scusa per il disturbo arrecato, le donne si tolsero repentinamente le scarpe promettendo balli silenziosi…
Così ho conosciuto Kaljia e i suoi tre figli musicisti, venuti in Italia per lavorare e sfuggire alla miseria di un paese che non offre prospettive.
Col tempo io e Kaljia siamo diventate amiche. Lei lavorava duramente dal mattino alla sera, i figli soprattutto la sera, di giorno si esercitavano a trarre nostalgiche melodie o allegre ballate dai loro strumenti.
In uno dei nostri momenti di confidenza, non molto tempo fa, a seguito di episodi di violenza che avevano coinvolto suoi connazionali, Kaljia mi ha detto di essere molto preoccupata perché vedeva in pericolo il suo posto di lavoro. – Ora Italiani pensano che noi Rumeni siamo tutti delinquenti…Non è giusto!
Più tardi mi confidò che avrebbe dovuto cambiare casa. Il proprietario dell’appartamento le aveva, da un giorno all’altro, aumentato l’affitto di trecento euro…Un modo come un altro per costringerla ad andare via.
Ci siamo salutati, io e i miei Rumeni, con le lacrime agli occhi e poche parole.
Le ultime parole di kaljia sono state:- Coraggio! Io sempre prego per tuo fratello e tutti voi…Dio ci ama e ci protegge, per Lui noi siamo come figli…tutti uguali!
Eleonora Bernardi

NOI E LORO di Paolo Buffoni Damiani


Queste parole non sono mie, le prendo in prestito per condividerle con voi perchè sono belle e mi piacciono, molto!!!! Buona lettura.

venerdì 26 febbraio 2010

noi e loro: separati da un foglio di carta,
duro e buio come la cattiveria.
noi e loro,
transennati in code incomunicanti
per accedere ai comuni incubi delle questure.
noi e loro,
lacerati da un debito plurisecolare:
loro non lo sanno calcolare,
noi non sappiamo come fare per ripagare!
noi e loro,
intimiditi da timori subliminali,
 ch’a volte montano in paure e terrori.
noi e loro:
racchiusi in recinti dialettali,
 con apposite, separate, pietanze e preghiere e rosari e candele.
noi e loro, distanziati:
nei cud, nei rid, nei bot e cct e nella frequenza
 dei test di gravidanza.
noi e loro, divisi, sembriamo un triste fenomeno da baraccone
 e ci ammaliamo di vergogna.
noi e loro, uniti e mescolati,
saremo, almeno per un giorno, una novità strabiliante.
 ci sarà, tra noi e tra loro, qualcuno
 che più degli altri ci prenderà gusto
e pretenderà di replicare la mescolanza unita
ogni santo giorno:
è quello che si chiama “il punto di non ritorno”.

*

di Paolo Buffoni Damiani, febbraio 2010

CASA di Warsan Shire

Mi piace cominciare il nuovo anno con le parole straordinarie, sferzanti e potenti di Warsan Shire, poetessa nata nel 1988 in Kenya da genitori somali in fuga dalla guerra civile.
E' arrivata a Londra a sei mesi e là è cresciuta, entrando poi a far parte del movimento letterario dei “Black British Poets” e vincendo diversi premi letterari alle “Slam Competitions”. Con i suoi versi dà voce ai rifugiati, agli immigrati, ai respinti, ai tanti uomini, donne e bambini in fuga e alla ricerca della salvezza, di un posto qualsiasi più sicuro di una casa che è “la bocca di uno squalo, la canna di un fucile”. Il 2 Ottobre 2010, al Festival di Internazionale  a Ferrara, Warsan Shire e la traduttrice delle sue poesie Paola Splendore hanno recitato in inglese e in italiano “La Diaspora in versi” ed io e la mia Raffa eravamo lì ad ascoltarla... Parole che non ho dimenticato e che condivido con Voi.
Altre poesie di Warsan Shire : La Central Line è rossa, la Circle Line è gialla; La Bocca di Maymuun; Domande a Miriam; Piccola Zia.
La poesia che vi propongo si chiama Casa.
Ne posto la versione in italiano ed in inglese.
Buona lettura e buon Anno

casa
nessuno lascia la propria casa a meno che
casa sua non siano le mandibole di uno squalo
verso il confine ci corri solo
quando vedi tutta la città correre
i tuoi vicini che corrono più veloci di te
il fiato insanguinato nelle loro gole
il tuo ex-compagno di classe
che ti ha baciato fino a farti girare la testa dietro alla fabbrica di lattine
ora tiene nella mano una pistola più grande del suo corpo
lasci casa tua
quando è proprio lei a non permetterti più di starci.

nessuno lascia casa sua a meno che non sia proprio lei a scacciarlo
fuoco sotto ai piedi
sangue che ti bolle nella pancia

non avresti mai pensato di farlo
fin quando la lama non ti marchia di minacce incandescenti
il collo
e  nonostante tutto continui a portare l’inno nazionale
sotto il respiro
soltanto dopo aver strappato il passaporto nei bagni di un aeroporto
singhiozzando ad ogni boccone di carta
ti è risultato chiaro il fatto che non ci saresti più tornata.

dovete capire
che nessuno mette i suoi figli su una barca
a meno che l’acqua non sia più sicura della terra

nessuno va a bruciarsi i palmi
sotto ai treni
sotto i vagoni
nessuno passa giorni e notti nel ventre di un camion
nutrendosi di giornali a meno che le miglia percorse
non significhino più di un qualsiasi viaggio.

nessuno striscia sotto ai recinti
nessuno vuole essere picchiato
commiserato

nessuno se li sceglie i campi profughi
o le perquisizioni a nudo che ti lasciano
il corpo pieno di dolori

o il carcere,
perché il carcere è più sicuro
di una città che arde
e un secondino
nella notte
è meglio di un carico
di uomini che assomigliano a tuo padre

nessuno ce la può fare
nessuno lo può sopportare
nessuna pelle può resistere a tanto

Il

Andatevene a casa neri
rifugiati
sporchi immigrati
richiedenti asilo
che prosciugano il nostro paese
negri con le mani aperte
hanno un odore strano
selvaggio
hanno distrutto il loro paese e ora vogliono
distruggere il nostro

le parole
gli sguardi storti
come fai a scrollarteli di dosso?

forse perché il colpo è meno duro
che  un arto divelto
o le parole sono più tenere
che quattordici uomini tra
le cosce
o gli insulti sono più facili
da mandare giù
che le macerie
che le ossa
che il corpo di tuo figlio
fatto a pezzi.

a casa ci voglio tornare,
ma casa mia sono le mandibole di uno squalo
casa mia è la canna di un fucile
e a nessuno verrebbe di lasciare la propria casa
a meno che non sia stata lei a inseguirti fino all’ultima sponda

a meno che casa tua non ti abbia detto
affretta il passo
lasciati i panni dietro
striscia nel deserto
sguazza negli oceani

annega
salvati
fatti fame
chiedi l’elemosina
dimentica la tua dignità
la tua sopravvivenza è più importante

Nessuno lascia casa sua se non quando essa diventa una voce sudaticcia
Che ti mormora nell’orecchio
Vattene,
scappatene da me adesso
non so cosa io sia diventata
ma so che qualsiasi altro posto
è  più sicuro che qui.



(Traduzione di Pina Piccolo)

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In lingua originale:

HOME

Warsan Shire

no one leaves home unless
home is the mouth of a shark
you only run for the border
when you see the whole city running as well
your neighbours running faster than you
breath bloody in their throats
the boy you went to school with
who kissed you dizzy behind the old tin factory
is holding a gun bigger than his body
you only leave home
when home won't let you stay.
no one leaves home unless home chases you
fire under feet
hot blood in your belly
it's not something you ever thought of doing
until the blade burnt threats into
your neck
and even then you carried the anthem under
your breath
only tearing up your passport in an airport toilets
sobbing as each mouthful of paper
made it clear that you wouldn't be going back.
you have to understand,
that no one puts their children in a boat
unless the water is safer than the land
no one burns their palms
under trains
beneath carriages
no one spends days and nights in the stomach of a truck
feeding on newspaper unless the miles travelled
means something more than journey.
no one crawls under fences
no one wants to be beaten
pitied
no one chooses refugee camps
or strip searches where your
body is left aching
or prison,
because prison is safer
than a city of fire
and one prison guard
in the night
is better than a truckload
of men who look like your father
no one could take it
no one could stomach it
no one skin would be tough enough
the
go home blacks
refugees
dirty immigrants
asylum seekers
sucking our country dry
niggers with their hands out
they smell strange
savage
messed up their country and now they want
to mess ours up
how do the words
the dirty looks
roll off your backs
maybe because the blow is softer
than a limb torn off
or the words are more tender
than fourteen men between
your legs
or the insults are easier
to swallow
than rubble
than bone
than your child body
in pieces.
i want to go home,
but home is the mouth of a shark
home is the barrel of the gun
and no one would leave home
unless home chased you to the shore
unless home told you
to quicken your legs
leave your clothes behind
crawl through the desert
wade through the oceans
drown
save
be hunger
beg
forget pride
your survival is more important

no one leaves home until home is a sweaty voice in your ear
saying-
leave,
run away from me now
i dont know what i've become
but i know that anywhere
is safer than here.